Cosmopolis secondo Cronenberg: dal romanzo al film

Guardare il film dopo aver letto il libro, confrontarne le differenze, regala una lezione di sceneggiatura e di estetica cinematografica. Cosmopolis di Cronenberg è una trasposizione attenta del romanzo di DeLillo. Ma allo stesso tempo se ne allontana in maniera decisa, guadagnandosi lo status di opera indipendente rispetto alla fonte originaria, attraverso un lavoro alchemico di purificazione e ricomposizione.

Cosmopolis
Cosmopolis – Film di Cronemberg – Fonte: temi.repubblica.it

Cosmopolis: l’attualità come necessità

La prima pubblicazione del romanzo risale al 2003: il finanziere Eric Packer avvia una folle speculazione contro lo yen. Cronenberg scrive e dirige il suo film nel 2012 e aggiorna il contesto economico sostituendo la moneta giapponese con lo yuan. La speculazione di Eric ha come obiettivo la valuta nazionale della Repubblica Popolare Cinese, nuova potenza economica mondiale, perché dal 2003 le cose sono cambiate di parecchio.

Dopo l’entrata della Cina nel WTO, avvenuta nel 2001, il mondo ha assistito ad una rivoluzione della storia economica mondiale. Abbandonato l’isolazionismo, la Cina è diventata una Brics, una nazione emergente. E soprattutto, pur sotto un regime formalmente comunista, ha cominciato ad applicare con rigore il metodo capitalista degli Stati Uniti d’America. Da quel momento l’economia cinese è cresciuta in maniera inarrestabile, conquistando il secondo posto dietro gli Usa tra le economie globali. La scelta del regista canadese evidenza la sua invalicabile necessità d’essere aderente all’attualità e il bisogno di raccontare il presente.

L’assenza di New York e del mondo esteriore

La traduzione cinematografica di un’opera letteraria implica un lavoro di taglia e cuci. Operazione necessaria a meno di non voler girare un film lungo oltre ogni ragionevolezza. Ma la brevità fisiologica dell’opera di Cronenberg rispetto al suo corrispettivo romanzesco è dovuta ad un’altra motivazione che appare subito chiara: puntare l’attenzione sul protagonista Eric Packer e raccontarne con precisione il suo punto di vista per farne il paradigma dei “nuovi padroni”. La casta dei finanzieri che speculano in borsa con la stessa patologica imprudenza di un giocatore d’azzardo, mettendo a rischio l’economia reale di intere nazioni. Gli stessi che hanno determinato la crisi sconvolgente del 2008. Evento profetizzato da DeLillo nel suo romanzo, che è ormai cronaca nel momento in cui il regista canadese si siede a tavolino per scrivere la sceneggiatura.

Per circoscrivere il film attorno alla figura di Eric, Cronenberg ha eliminato New York, che può considerarsi la vera protagonista del romanzo, trovando ampio spazio con un ritratto multiforme e surreale di Manhattan e dell’umanità che palpita lungo le sue avenue.

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David Cronenberg

Il mondo esteriore nel film di Cronenberg non esiste più. Viene escluso. Deformato nei colori e intravisto di sfuggita nei vetri oscurati della Limousine dove Eric Packer passerà gran parte della sua fatal giornata. Anche i rumori della folla, dei clacson impazziti non trovano più spazio nella pellicola. L’abitacolo della limousine, immenso e digitalizzato, diventa l’universo asettico e insonorizzato in cui il protagonista cerca l’isolamento necessario per perseguire la sua spudorata e rischiosissima azione speculatoria.

Cronenberg rinuncia alle scene di massa immaginate da DeLillo. Stringe l’inquadratura su Eric e sui suoi collaboratori dai quali cerca conferme, consigli e ispirazione. Esclude i possibili campi lunghi sull’attacco dei No Global e sul funerale magniloquente del rapper sufi Bhuta Fez. C’è spazio solo per quelle scene in esterna e in altri luoghi chiusi che non siano la limousine perché necessarie a raccontare Eric e perché rappresentano punti nodali della storia. Gli incontri casuali con la ricchissima moglie in taxi, al ristorante, in libreria e davanti all’ingresso di un teatro servono ad entrambi per costruire il loro rapporto, avendo contratto il matrimonio per convenienza. Eric cerca l’eccitazione come uno psicotico le sue pillole. Dopo aver fatto sesso in albergo con una donna che appartiene alle sue guardie del corpo, le chiede di colpirlo con il teaser perché vuol provare qualcosa di nuovo.

S’intrufola in un teatro occupato da centinaia di ragazzi danzanti sulla musica di un techno rave, impasticcati con la droga del momento che cancella ogni dolore, per ammettere egli stesso che oggi nel mondo c’è abbastanza dolore per tutti. Riceve una torta in faccia da Andrè Petrescu, terroritsta pasticcere che lo rietene un bersaglio più importante del Presidente degli Stati Unita. Quando gli è ormai chiaro d’aver perso la scommessa sullo yuan e tutta la sua fortuna, uccide a sangue freddo Torval, capo della sicurezza, mentre guardano due ragazzini che giocano a basket. Raggiunge il suo vecchio barbiere a Hell’s Kitchen per ricordare suo padre e l’infanzia alla ricerca di conforto. E infine si consegna nelle mani di Benno Levin, il suo ex dipendente che minaccia di ucciderlo.

Il taglia e cuci di Cronenberg sortisce un ritmo preciso e serrato, come assoggettato alla scansione temporale di un metronomo. Ciò nonostante ogni singola scena possiede un’atmosfera dilatata, sospesa, atemporale, che ricrea con precisione la condizione metafisica di Eric Packer. Un ragazzo di 28 anni che applica il suo talento alla previsione del futuro azionario, impiegando un metodo di analisi ispirato alle proprietà matematiche dei cicli e degli agenti naturali. L’isolamento di Eric dal resto del mondo è completo. La progressione del film è affilata come un rasoio. Gli avvenimenti rispettano una cadenza inarrestabile. Cronenberg ha realizzato il suo ennesimo marchingegno di alta precisione.

Cosmopolis
Cosmopolis – Fonte: ejumpcut.org

 

L’importanza di Benno Levin

Il taglio più corposo e importante operato dal regista canadese riguarda le Confessioni di Benno Levin, forma narrativa secondaria innestata per due volte in quella primaria del romanzo. Benno già ad un terzo del libro confessa l’omicidio del su ex datore di lavoro Eric Packer. Ma a DeLillo non interessa. Il suo non è un thriller che necessità di un finale eclatante, ma un romanzo postmoderno. La morte di Eric è secondaria. Ciò che importa allo scrittore sono gli eventi, le convinzioni e le debolezze che conducono all’omicidio del protagonista.

Invece Cronenberg, eliminando le confessioni di Benno, dedica l’ultima mezz’ora del film al suo incontro con Eric, ricavando una scena finale piena di pathos, nella quale per altro non si sente lo sparo, perché il film si conclude un attimo prima che Benno Levin, travolto dalla sua rabbia repressa, prema finalmente il grilletto, lasciando lo spettatore nell’incertezza che ciò avvenga. Una conclusione a sorpresa e carica di suspense, pensata esclusivamente per il pubblico che vede il film senza aver letto il libro di DeLillo. Un’ulteriore scelta autoriale con la quale l’opera di Cronenberg acquista la sua indipendenza artistica rispetto al romanzo.

La potenza del Cinema

L’enorme mole di dettagli, informazioni e scene evocate in una grande opera letteraria qual’è Cosmopolis, s’incrocia nell’alternarsi delle fasi narrative, chiedendo al lettore uno sforzo d’immaginazione tanto esaltante quanto impossibilitato nel raggiungimento di una perfezione delle immagini mentali. Il cinema ha il potere di ordinarle e di fare sintesi pur sottostando all’ambiguità dell’immagine stessa. Mette a disposizione dello spettatore scene dai contorni precisi che sono quelli dell’inquadratura. Mentre le espressioni e le voci degli attori rinvigoriscono il carattere dei personaggi, facendo risuonare i dialoghi in modo stentoreo e incontestabile. Ed è ciò che accade in Cosmopolis di Cronenberg, perfetta dimostrazione di ordine e sintesi.

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Cosmopolis – David Cronenberg e Robert Pattinson – Fonte: imbd.com – Foto di One Entertainment

A dimostrarlo bastano pochi esempi. La ricostruzione scenica offre un’idea precisa di quanto possa essere enorme la limousine di un megalomane come Eric Packer. Così grande da contenere una carrellata che dà il senso di profondità dell’abitacolo, espressione metaforica della manie di grandezza e della boria da cui è afflitto il protagonista.

L’espressione impassibile dell’attore Robert Pattinson restituisce in pieno il distacco dalla realtà di Eric. I suoi occhi glaciali, quasi inespressivi, sono perfetti per uno squalo della finanza. E fanno il paio con l’eccesso di raziocinio che mette in ogni rapporto interpersonale, uccidendo le emozioni.

Le immagini video danno risalto a un dettaglio non secondario che nel libro può sfuggire, il taglio di capelli di Eric interrotto a metà. Un’irregolarità bizzarra della sua immagine fino a quel momento impeccabile, che racconta l’inizio della fine dopo aver perso la scommessa sullo yuan. La sicurezza vacilla. Nella sua mente cominciano a farsi strada la disperazione e il desiderio del gesto estremo. Ad un uomo potente come Eric Packer quasi manca la voce quando, rinchiuso in modo infantile nel bagno arrabattato di Benno – intuizione geniale di Cronenberg – rivela il suo fallimento e un senso di smarrimento mai provato prima.

Nel film la scena finale ha una sua perentorietà. Molto più netta rispetto al libro. Sentimenti e pensieri stanno lì, sul volto degli attori. Il linguaggio del corpo concede allo spettatore il tempo dell’intuizione, che seppur breve può dire molto più della lettura di un testo, così come accade nella vita reale.

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Cosmopolis Paul-Giamatti e Robert Pattinson – Fonte: aceshowbiz.com

La caratterizzazione di Benno Levin, interpretato da uno straordinario Paul Giamatti, ha una potenza straordinaria. La sua prima apparizione in scena, con l’espressione spaurita e l’asciugamano calato come un sudario sulle spalle e sulla testa, restituisce immediatamente la personalità disturbata e l’enorme fragilità del personaggio. Un uomo costretto a vivere come un ratto in fuga dentro un edificio abbandonato. Scacciato senza preavviso e liquidazione perché non conforme agli standard d’immagine e prestazionali della Packer Capital.

Il personaggio inventato da DeLillo, grazie a Cronenberg e al suo attore, ci appare in tutta la sua fragilità. Il regista trova l’inquadratura giusta per esaltare la sua faccia da topo, simbolo usato da DeLillo per raffigurare il sudiciume della finanza proditoria. Cronenberg sceneggiatore apporta piccole correzioni e sfumature al dialogo tra Eric e Benno per renderlo più spedito e colloquiale. Poi prende posto dietro la macchina da presa e attraverso la fotografia, la scenografia e le inquadrature magistrali attribuisce alla scena finale un nuova energia. Cronenberg regala allo spettatore il momento più alto del film e ribadisce l’unicità della magia chiamata cinema.

Testo di Michele Lamonaca

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