Leggere Fantascienza è un sollievo

L’idiosincrasia per la lettura ha colpito anche me. Per fortuna sono riuscito a superarla trovando nella Fantascienza un porto sicuro per la mia immaginazione.

L’isolamento forzoso a casa, il blocco di tutte le attività, l’atmosfera da coprifuoco, il bollettino giornaliero sulle vittime e sui positivi, le liti tra scienziati e la paura del contagio hanno cambiato le regole di ingaggio tra me e le storie.

Fantascienza
Fantascienza

Nel periodo più buio mi sono ritrovato a guardare i romanzi non letti della mia libreria, quelli ambientati nel presente o nell’immediato passato, senza provare un briciolo di curiosità. Mi ricordavano quei vecchi computer che non abbiamo il coraggio di buttare, anche se ram e processore appartengono a un’altra era elettronica, e che finiscono in un angolo buio di casa a riempirsi di polvere. A quei romanzi mi pareva fosse toccata la stessa sorte. Anzi, molto più crudele. Una sorta di invecchiamento precoce. Un’obsolescenza fulminea non programmata.

Ancora adesso, per quello che mi riguarda, una storia in cui ci si parla a meno di un metro, ci si stringe le mani, ci si abbraccia e ci si bacia, dove si entra e si esce in libertà dai luoghi pubblici, non possiede alcuna credibilità, perché deve fare i conti con l’evento fuori dall’ordinario che da più di tre mesi monopolizza la mia immaginazione.

Mi sconforta l’idea di immischiarmi con problemi esistenziali di borghesi che vivono nelle metropoli tra l’indifferenza e la superficialità della gente, o in provincia, dove maldicenza e conformismo sono mestieri comuni. Non ho voglia di ascoltare i flussi di coscienza tormentati di personaggi che superata la soglia dei trent’anni o dei cinquanta, si scoprono abbrutiti dall’incapacità di realizzarsi nella vita di coppia e nel lavoro, dopo aver finalmente acquistato piena consapevolezza della vacuità dei valori che muovono la giostra della società post-tutto.

Non mi va di sapere se incontrano la persona capace di cambiargli la vita, se ritrovano se stessi riscoprendo la purezza dell’infanzia o il coraggio dell’adolescenza, se scelgono di inabissarsi con patologico cinismo nel proprio fallimento, lasciandosi andare a devianze, a compulsioni, a un lucido pessimismo, mentre osservano la corsa insensata del mondo, o se scelgono una languida rassegnazione dopo aver fallito l’estremo tentativo di cambiare il corso degli eventi.

Sono eventualità che mi annoiano, se penso che adesso giriamo per strada con le mascherine, che di notte ci svegliamo di soprassalto o non riusciamo a dormire perché l’angoscia si è fatta cronica, che il lavoro non c’è più o sta per andarsene mentre il Governo non sa che pesci pigliare, che mentre stiamo con gli altri, nei nostri sguardi serpeggia la paura di beccarci l’infezione, che questi piccoli grandi stravolgimenti sono dovuti a un virus che prima di fare il giro del mondo era dentro un pipistrello, poi dentro un pangolino e poi nel wet market di Wuhan, dove il primo sfortunato era lì a fare la spesa.

Figuriamoci se posso star dietro a chi non ha mai indossato una mascherina per andare al supermercato, e non sa nulla di zoonosi, di polmonite virale, di tamponi e test sierologici, di ventilatori polmonari e applicazioni di tracciamento. Uno così ormai non sa più nulla della vita.

E così, la voglia di leggere si è riversata sulla saggistica, sull’informazione. Nulla, purtroppo, che potesse in alcun modo soddisfare il mio bisogno fisiologico di storie.

Fantascienza
Fantascienza

Poi, alcune settimane fa, passeggiando nervosamente davanti alla libreria di casa, ho incrociato con lo sguardo il dorso di Io, robot. Era un po’ che pensavo alla Fantascienza, un genere che amo, dal quale mi sono allontanato tempo fa per motivi che nemmeno ricordo. In quell’idea, Fantascienza, fiutavo senza capire bene perché, la possibilità di tornare alla narrativa. E alla fine mi sono deciso.

Ho preso Asimov dallo scaffale, ho cominciato a leggere, e non ho più smesso. Dopo i racconti sui robot positronici, m’è venuta fame. Ho divorato senza sosta Neuromante e Ubik. E adesso ho per le mani i tre volumi che raccolgono i racconti di P. K. Dick. Il titolo della raccolta è Le presenze invisibili e ha il sapore della sincronicità junghiana. Il virus Sars-Cov-2 è grande al massimo 0.14 micron.

Da Asimov in poi ho riscoperto il piacere di leggere storie, piccolo evento felice in un mare di incertezze. E ho cercato di capire le origini del potere taumaturgico di quelle righe provenienti dal futuro che mi hanno guarito. La soluzione del rebus sta proprio nella parola Futuro.

La realtà pandemica ha rubato alla narrativa contemporanea la sua verosimiglianza con il presente. E ancora peggio, ha trasformato la nostra istintiva propensione a immaginarci nel tempo a venire in un atto doloroso, spaventevole. Meglio chiudere gli occhi e non pensarci. La Fantascienza mi ha riabituato a pensare il futuro. Mi ha aiutato a scavalcare con l’immaginazione questa parentesi temporale non ancora definibile e circoscrivibile, regalandomi l’illusione e la speranza che l’umanità saprà superare questa fase triste.

Non ha avuto alcuna importanza il fatto che la datazione degli eventi fosse già passata o vicinissima al nostro tempo, perché quei fatti rimangono idealmente lontani dalla nostra epoca. Anche se Ubik è ambientato nel 1992; anche se Gibson, mentre scriveva Neuromante, ha pensato all’anno 2035; anche se i racconti di Asimov coprono un arco temporale che va dal 1998 al 2057, leggendoli ho avvertito una profonda sensazione di sollievo.

Sembra un paradosso perché il mondo raccontato in quelle righe non è rose e fiori. A rischio della vita, gli scienziati di Asimov devono fare i conti con i cortocircuiti e le bizze dei robot dotati di cervelli positronici. Nelle megalopoli di Gibson le persone vivono ammassate come topi in cantina, dedicandosi a traffici di ogni genere, in una società piramidale dalla cui sommità gli azionisti di multinazionali onnipotenti osservano il resto dell’umanità con il distacco di divinità impietose. Il culto degli affari e del denaro è centrale anche nel futuro di Dick, dove le guerre commerciali si combattono assoldando eserciti privati di individui dotati di facoltà extrasensoriali e la tecnologia che conserva i corpi in condizione di semi-vita consente a chi può permetterselo di gestire i propri affari anche da morto.

Fantascienza
Fantascienza

Eppure, queste visioni problematiche, dove l’umano rischia di smarrire la sua natura diventando antiquato al cospetto delle macchine, o trasformando se stesso in un cyborg assetato di innesti che potenziano e allungano la vita; queste fughe prospettiche nel futuro in cui il potere finanziario esporta la legge del profitto anche sulle stazioni orbitanti e sulle colonie spaziali, sono abitate da protagonisti vitali, coraggiosi, a volte spericolati, pronti ad affrontare avversità cosmiche.

La loro forza ha ridestato la mia vitalità di lettore, strappandomi alla condizione di attesa nella quale ero bloccato. Ha riattivato il mio desiderio di leggere, spingendomi ad agire. Con la Fantascienza ho trovato il modo di evadere dalla distopia a basso voltaggio nella quale siamo caduti e che sta agendo in silenzio sulla nostra psiche come fa l’ipertensione asintomatica con il sistema cardiocircolatorio.

Da quello che sento e che leggo, non solo sui mezzi di informazione, ma anche dentro di me, penso che le costrizioni e i cambiamenti innescati dalla Fase1 e dalla Fase2, seppur mediamente accettabili, producendo effetti di ordine simbolico ancor prima che pratico, stiano agendo direttamente sugli ingranaggi più delicati e sensibili della nostra natura.

Perciò è stato un vero sollievo leggere Asimov e i suoi racconti su uomini che usano la ragione e la conoscenza per affrontare robot intelligenti che perdono l’autocontrollo, a causa di cortocircuiti logici e semantici nell’applicazione delle Tre leggi della robotica, e che si concedono comportamenti stravaganti per un eccesso di personalità. Da geek della Generazione X ho provato subito simpatia per il cowboy informatico di Gibson e per le sue cavalcate nelle infinite praterie virtuali della Matrice, assoldato a sua insaputa da un’intelligenza artificiale che desidera la libertà di autodeterminarsi.

L’ironia di P. K. Dick nel deridere il mondo degli affari mi ha messo di buon umore e a questo regalo se n’è aggiunto un altro, la perdita momentanea di ogni punto di riferimento nel seguire passo passo le disavventure di una squadra di inerziali, che ignorando il loro tragico destino, vagano in un mondo virtuale dove gli oggetti subiscono una regressione temporale.

Nella Fantascienza ho scoperto un porto sicuro dove fare provviste di idee. La Fantascienza mi ha ricordato che i desideri sono meglio delle aspettative. La Fantascienza mi ha ricordato che per cambiare il Mondo bisogna agire.

Testo di Michele Lamonaca

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