Intervista, Marco Marrone: “gig economy, il lavoro senza lavoratore”

Assegnista di ricerca presso il Centro Internazionale di Studi umanistici e sociali della Ca’ Foscari a Venezia, Marco Marrone è stato chiamato in causa dal programma di Rai 3 “Presa Diretta” per la puntata incentrata sulla “gig economy”.

Nel suo curriculum c’è un dottorato di ricerca in Sociologia e Diritto dell’Economia presso l’Università di Bologna. E seppur giovanissimo, Marco è un profondo conoscitore delle trasformazioni in corso nei processi economici, puntando la sua attenzione di studioso sulla precarizzazione del mercato del lavoro e sugli effetti che questa sta avendo sulle condizioni di vita dei lavoratori, soprattutto quelli più giovani.

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Cos’è l’economia dei “lavoretti”

La “gig economy” degrada il lavoro a “lavoretto” aiutando il liberismo ad abbattere finalmente i costi del modello organizzativo tradizionale dell’azienda. Il lavoro subordinato viene sostituito dal lavoro autonomo, dalle collaborazioni occasionali. Saltano le tutele come le ferie, la malattia e la retribuzione minima. Solo tariffe orarie molto basse o retribuzione a cottimo da cui le imprese detraggono una percentuale significativa chiamandola “commissione”. Perché “il piccolo lavoratore”, e qui sta l’inganno, deve pure ringraziarle, le aziende della “gig economy”, perché a detta loro non fanno altro che agevolare l’incontro tra domanda e offerta; tra cliente e “lavoratore autonomo”. E intanto, mediante le loro piattaforme digitali, arricchite da sistemi di rating punitivi, tengono sotto scacco chi sulla carta dovrebbe avere la massima “flessibilità”.

Come e quando nasce la gig economy

Ma come ha raccontato la puntata di “Presa Diretta”, dietro la gig economy si nasconde una forma evoluta di sfruttamento del lavoro. Altro che autonomia, altro che libertà. Nessuno dei lavoratori intervistati ha voluto mostrare il proprio volto.

«In realtà l’economia dei lavoretti, ancora di salvezza nei momenti di crisi economica registrati dalla storia, è sempre esistita. La dimensione attuale del fenomeno dipende dal ciclo economico in cui siamo», spiega Marco Marrone.

Ciclo economico che «nasce da lontano – continua il ricercatore – e più precisamente dall’esternalizzazione o outsourcing delle fasi produttive messa in atto dalle aziende negli anni ’90». Una prassi che generò «l’accumulo di capitale e il suo reinvestimento in finanza, sottraendolo all’imposizione fiscale, e finendo così per togliere risorse al walfer state». L’enorme mole di soldi impiegata nel gioco perverso della finanza ha generato «una bolla speculativa» ed è così che «arriviamo al crack del 2008, quando esplode la disoccupazione che a quel punto non trova più rifugio nel welfare».

Grazie a questi eventi «si formano le condizioni sociali per un lavoro organizzato con l’aiuto della tecnologia e non più nella fabbrica. Nasce la gig economy, in cui – spiega Marco Marrone – sei tu dipendente che ti accolli tutti i rischi, compreso quello salariale. E così il capitale raggiunge il suo obiettivo: avere forza lavoro senza lavoratore».

Un fenomeno che cresce a macchia d’olio. «L’ultimo rapporto del McKinsey Global Institute – ricorda Marco – ci dice che nel mondo occidentale la gig economy coinvolge il 10-15% della forza lavoro totale, che arriva al 25% se si prendono in considerazione le partite iva».

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Operai a lavoro – Fonte: http://imparareconlastoria.blogspot.it

Lavoro ridotto a strumento di sopravvivenza

Ma in realtà c’è da fare un’altra precisazione. «Che il lavoro sia stato sicurezza e diritti è stato vero per 30 anni in una piccola parte del mondo – continua Marco Marrone-. Invece per i 2/3 del globo ci troviamo difronte a una storia di sfruttamento. Ed è evidente che le promesse fatte dagli economisti negli anni ’60, secondo i quali il liberismo avrebbe generato benessere per tutti, non sono state mantenute». Con il risultato che oggi, grazie alla gig economy, «il lavoro è solo strumento di sopravvivenza. E ciò determina insicurezza personale e impossibilità di progettare la propria vita. Inoltre se i lavoratori non vengono pagati in maniera adeguata, si fa concorrenza sleale e si abbassa il valore del lavoro per tutti gli altri, minando così le basi sociali».

Il giudizio di Marco Marrone sulla gig economy è lapidario. «E’ un cancro sociale» e le aziende «sono altro che “piattaforme estrattive” perché prendono e non danno niente, non producono alcun beneficio per la società. Il loro modo di agire viola l’articolo 41 della Costituzione. In Francia lo scorso anno – ricorda Marco – Aribnb ha pagato 100 mila euro di tasse, mentre il comparto degli hotel ha versato nelle casse dello Stato 3,5 miliardi».

La situazione in Italia

Anche nel nostro Paese la precarizzazione del lavoro è cresciuta e sta crescendo a vista d’occhio. «In Italia, più che in altre nazioni, la politica ha agevolato questo stato di cose – attacca Marco -.
I governi tecnici sono stati i più politici. Hanno inciso di più, ripetendo il mantra dell’abbassamento delle tasse. E la flat tax sarebbe il colpo di grazia
».

Decisivo è stato in il cambiamento di rotta sulle Politiche di attivazione, «quando si è affermata l’idea che aiutando le persone si alimentasse l’assistenzialismo», continua lo studioso. «Si è passati così alla condizionalità degli interventi e sono nati i vari tirocini, corsi di formazione e l’inserimento al lavoro. Misure che si sono rivelate inefficaci e dannose perché hanno concesso lavoro senza lavoratori alle aziende. E così oggi ci ritroviamo difronte ad un proletariato ex lege».

Prendiamo un esempio su tutti, l’Alternanza scuola-lavoro. «Perché le aziende dovrebbero assumere nuovo personale, se basta bussare a scuola per ricevere gratuitamente nuova forza lavoro?», si chiede Marco, a cui appare ormai chiara la necessità di invertire la rotta.

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Neoliberismo

Come cambiare le cose

Tornando alla gig economy, per combattere la precarizzazione del lavoro , bisognerebbe cambiare subito le regole. «Lo Stato deve introdurre l’assunzione istituzionalizzata dei lavoratori», suggerisce Marco. Ma sarebbe un palliativo. In realtà, da studioso qual’è, Marco Marrone fa un ragionamento molto più ampio, invocando un cambiamento più profondo. «Lo Stato deve decidere se è più importante la vita delle persone o l’andamento delle aziende. Non ci deve essere spazio per questo genere d’imprese. Vanno espulse, perché alla fine per i lavoratori non c’è speranza».

Contro le crescenti difficoltà economiche di gran parte della popolazione, lo studioso è convinto che si debba «introdurre il reddito di base, senza condizionalità come chiedono invece i 5 Stelle, per risollevare tutte queste persone dalla lotta di sopravvivenza a cui sono costrette e per liberare energie nuove in grado di trasformare la nostra società».

«Bisogna uscire dall’idea che tutto è legittimo per fare soldi – spiega Marco -. Il lavoratore è un fattore di produzione. Basta con il trend degli ultimi 30 anni, secondo cui l’azienda viene prima dell’uomo. Basta con il concetto di efficienza che vuol dire lavoro senza lavoratore. La flessibilità di cui si parla tanto è una presa in giro. Il capitalismo non ha fatto altro che assorbire la spinta del movimento operaio per l’autonomia. Come fa sempre, ha assorbito anche questo desiderio e lo ha messo a valore, perché – conclude Marco – il capitalismo si rinnova nelle critiche. Si è convinti che la razionalità liberista è l’unica possibile. Ma se si sopravvive non c’è democrazia».

Michele Lamonaca

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