Attenti, cellulari e social stanno uccidendo la conversazione

Un cellulare poggiato semplicemente sul tavolo può condizionare in modo negativo l’interazione tra due persone. Lo hanno scoperto gli autori dello studio intitolato The IPhone Effect.

Dall’apparenza innocua, lo smartphone nasconde una progettazione ispirata alle slot machine, come accade anche per le piattaforme social, mirando a creare dipendenza negli utenti. La possibilità di ricevere da un momento all’altro un sms o un segnale dalla Rete si cristallizza nel cervello, diventa attesa permanente, spingendo le persone a mantenere la conversazione su argomenti banali, per escludere a priori ogni forma di discussione, così da poter reagire prontamente nel momento in cui lo smartphone si ridesta dal sonno con suonerie e lucette colorate.

Conversazione
Smartphone e Tablet

L’esperimento condotto negli Stati Uniti conferma quanto i cellulari e i social network stiano corrodendo la natura umana, impegnando senza sosta e in modo errato le facoltà cognitive. La nuova tecnologia della comunicazione e dell’informazione non è neutra nei nostri confronti. E’ vero, dispositivi digitali e piattaforme informatiche offrono possibilità e opportunità prima sconosciute. Ma in questo modo riescono a conservare la reputazione inerziale di strumenti puliti. Purtroppo le pesanti controindicazioni dovute al loro uso incontrollato sono ancora oggi ignorate dalla gente comune e rimangono relegate al mondo scientifico e accademico.

Eppure qualcosa si è mosso. Scienziati e studiosi hanno trovato un appoggio insperato in alcuni cervelli della Silicon Valley. Tra questi spicca la figura di Tristan Harris, ex dipendente di Google specializzato in web design, che in preda ad una crisi di coscienza ha messo in piedi una squadra di techie provenienti dalla sua ex azienda, da Apple e Facebook, per dar vita nel 2014 al Center of Human Technology.

La tecnologia disumana dei Microservi

Dal loro avamposto, i pentiti tecnologici hanno lanciato un messaggio forte e chiaro: i colossi della Silicon Valley operano incessantemente nel tentativo di sequestrare le nostre menti 24 ore su 24, spendendo tutte le loro energie in quella che Harris chiamal’economia dell’attenzione“. La tecnologia partorita secondo questa logica sta “dirottando” le nostre menti e la società verso un futuro poco rassicurante. Come non credergli, visto che i membri del Center of Human Technology conoscono dal didentro le logiche aziendali delle società informatiche californiane. E allora bisogna ascoltarli quando dicono che il senso di colpa per la dipendenza da cellulare e da social network va abbandonato per cominciare ad osservare in maniera critica ciò che accade nell’El Dorado della tecnologia. Nei campus della Silicon Valley ogni giorno migliaia di persone, tra ingegneri, programmatori ed esperti di marketing, dedicano la loro giornata, la loro vita, alla realizzazione di giocattoli informatici, inventando nuovi trucchi per tenerci incollati allo schermo. Parliamo di gente consumata molto spesso dall’ambizione personale o peggio ancora dal fanatismo tecnologico e aziendalistico.

Sarebbe educativo da questo punto di vista rileggere “Microservi” di Douglas Coupland. Già nel lontano 1995, lo scrittore canadese lanciò un messaggio d’allarme che avrebbe dovuto farci drizzare le antenne, raccontandoci le condizioni di lavoro e le esistenze dei geek nella valle dell’high tech. Un esercito di techie imprigionati nei loro cubicoli. Gente dallo stipendio generoso che non ha una vita propria, non ha amici e relazioni affettive, ma solo un obiettivo: rispettare i termini di consegna del prodotto.

Tra anaffettività e misantropia posseggono un unico mezzo per esprimere se stessi: scrivere righe di codice, eleganti e funzionali. I campus sono attrezzati con aree dedicate alla cura della persona e del tempo libero. Sembrano il paradigma del posto di lavoro ideale. In realtà sono il risultato dell’umanitarismo padronale che chiede come contropartita la dedizione incondizionata.
I dipendenti devono rinunciare alla loro vita per il bene dell’azienda. Da questo ambiente disumano non possono nascere prodotti a misura d’uomo, ma solo oggetti dannosi per la collettività e i singoli individui.

 

conversazione
Silicon Valley

Le neuroscienze e le scienze umanistiche hanno superato da tempo il campo delle ipotesi per offrici dati concreti su come il saccheggio della nostra attenzione stia erodendo i pilastri della società: la democrazia, le relazioni sociali, la salute mentale e la formazione dei bambini. La connessione perpetua ad Internet aumenta lo stress, l’ansia, gli stati depressivi. Le nuove generazioni costruiscono la propria personalità su fondamenta d’argilla perché le esperienze di vita in cui attivare ogni singola capacità cognitiva vengono sostituite dalle connessioni telematiche a cui manca la dimensione sensoriale.

I social impongono le interazioni virtuali disabilitando la naturale e salvifica propensione dell’uomo al contatto diretto. Il concetto di comunità si fa sempre più lasco, impalpabile. E intanto i social premiano i sentimenti che provengono dal basso ventre. Allevano leoni da tastiera, premiano l’indignazione, il livore e le false notizie. Agevolano le connessioni con gente che la pensa allo stesso modo, eliminando la diversità e la possibilità di crescita personale che essa ci offre.

Al danno si aggiunge la beffa, perché l’identità digitale di ognuno di noi viene sfruttata a scopi commerciali e politici. I tanti e ripetuti scandali dimostrano che l’intero sistema è vulnerabile e soprattutto manipolabile. Chi domina le nuove tecnologie ha la possibilità di esercitare il controllo sociale con una precisione chirurgica senza precedenti.

Addio conversazione

In definitiva, semplificando il monito di Tristan Harris, stiamo perdendo l’attenzione verso gli altri e verso noi stessi. Che equivale, usando le parole di Sherry Turkle, ad essere in “fuga dalla conversazione”. La studiosa statunitense ha dedicato la vita al rapporto tra tecnologia ed esseri umani, tanto da meritarsi il titolo di “antropologa del cyber-spazio”. Nel libro intitolato “La conversazione necessaria” illustra i risultati della sua ricerca condotta nella sua terra natia, avanguardia del consumismo che ha trovato nel digitale e nelle Rete un nuovo filone d’oro.

Sherry Turkle ha parlato con ragazzi e adulti. Ha incontrato il mondo della famiglia, della scuola e del lavoro. E ha scoperto che genitori e figli, amici e innamorati preferiscono comunicare con sms, email, testi scritti con programmi di messaggeria, invece di parlare faccia a faccia, in modo diretto. L’impiego dei dispositivi digitali, tra cui primeggia lo smartphone, sta cancellando la conversazione faccia a faccia soprattutto tra le nuove generazioni. I danni sono incalcolabili. Parlare con una persona in carne e ossa addestrava i ragazzi all’uso dell’empatia, all’immedesimazione nell’altro, rendendoli più forti e sicuri.

Adesso invece sono distratti e sottomessi dalle macchine. Preferiscono vivere “momenti arricchiti” da sollecitazioni digitali, lasciandosi drogare dall’impulso della ricerca. Derubati della loro attenzione, perdono la forza necessaria per affrontare solitudine e noia. Non praticano l’introspezione costruttrice dell’Io e la forza creativa che serve a reinterpretare la realtà per superare il tedio. La capacità riflessiva viene sostituita dalla botta neurochimica che il cervello riceve ogni qual volta si da una controllata al cellulare.

Conversazione
Techie – Fonte: iqglobal.intel.com

Come spiega Sherry Turkle, la prima generazione di americani cresciuta in presenza dello smartphone dimostra enormi difficoltà nel decifrare le emozioni altrui e quindi anche le proprie. Quei ragazzi hanno appena cominciato la loro carriera lavorativa e i datori di lavoro li descrivono come soggetti afflitti da fobie e ansie inspiegabili. Temono il confronto faccia a faccia; non sanno come iniziare e chiudere una conversazione; hanno grande difficoltà nel mantenere il contatto visivo; parlare al telefono provoca in loro stati di ansia; preferiscono comunicare attraverso email o messaggi. Difronte a queste evidenze, la studiosa auspica un cambiamento nella progettazione dei dispositivi digitali, delle applicazioni, dei software.

La tecnologia dovrebbe imporci un suo uso più intenzionale. I prodotti dovrebbero incoraggiarci a dare il nostro meglio ma anche a rispettare il nostro benessere psico-fisico. Ed è sempre Sherry Turkle, nel suo libro, a ricordare l’iniziativa di Tristan Harris, che non vuole misurare il successo di un’applicazione in base al tempo passatoci assieme ma in base “al tempo ben speso” in sua compagnia. Ecco spiegato il nome del movimento messo in piedi dall’ex designer di Google: “Time well spent“.

Rivoluzione culturale e intervento della politica

Harris ha proposto ai programmatori della Silicon Valley di adottare “un giuramento di Ippocrate” per impedire lo sfruttamento della psiche umana e delle sue vulnerabilità. Ma sa anche che le piattaforme non cambieranno da sole. Il loro modello di business contrasta con l’etica proposta dal suo gruppo di lavoro. Per questo motivo gli uomini e le donne che hanno aderito al Center of Human Technology stanno adoperando una strategia che prevede quattro azioni differenti. Creare un “risveglio culturale” tra i consumatori sugli aspetti nocivi della tecnologia.

Coinvolgere i dipendenti delle società tecnologiche perché molti di loro, a detta di Harris, non vogliono partecipare alla rovina della società. Invogliare Apple, Samsung e Microsot a muoversi verso la progettazione dal volto umano perché il loro modello di business non consiste nell’agganciare le persone allo schermo. E infine fare pressione sulla politica, chiamando in causa capi di stato, governi e ministri.

Ed è proprio qui che sta il punto. La presa di coscienza di Harris e dei suoi compagni d’avventura non basta. E’ giunto il momento che la politica si faccia carico del problema, superando la propria ignoranza e indolenza. Servono leggi su misura, provvedimenti intelligenti a tutela del cittadino. Bisogna costringere le aziende a virare verso modelli di produzione virtuosi, magari addebitando nei loro bilanci le esternalità negative dovute al controllo dell’attenzione. E bisogna farlo subito. Perché una società i cui membri non sanno parlarsi ha poche possibilità di affrontare e risolvere i grandi problemi come la povertà, la guerra e il degrado ambientale. Senza attenzione, è impossibile immaginare e costruire un mondo migliore.

Michele Lamonaca

Riproduzione riservata

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi