Dogman, la simbiosi fatale tra spazio e umano

Vivere in una giungla di cemento, tra palazzi fatiscenti, può corrompere anche l’animo più gentile. Ed è ciò che accade a Marcello, il tolettatore di cani protagonista dell’ultimo film di Matteo Garrone. Dogman è ambientato nella periferia romana, dove la speculazione edilizia ha partorito un agglomerato di alloggi e locali commerciali a pochi passi dal mare. Un’ottima “Piastra di Petri” per la coltura di esistenze marginali e anonime, violente e afflitte.

L’opera di Garrone ruota attorno alla dimensione sociale e politica dello spazio fisico, sempre più rilevante negli studi delle scienze umanistiche come la sociologia e la psicologia. L’ambiente influenza la mente e il comportamento degli individui. In senso negativo se la condizione umana deve sottostare a un progetto dello spazio urbano incurante dell’estetica e dell’etica necessarie ai luoghi in cui alloggiare corpo e anima.

Dogman
Dogman – Fonte: elledecor.com

Villaggio Coppola e Fotografia Urbex

Nell’immaginazione di Garrone c’è un luogo in particolare che riesce a raccontare perfettamente questa simbiosi fatale. Come per Gomorra e L’imbalsamatore, il regista romano ha effettuato le riprese di Dogman nel Villaggio Coppola, a Castel Volturno. Il progetto urbanistico puntava inizialmente alla realizzazione della Rimini del litorale domizio. Ma dopo l’interruzione dei lavori avvenuta nel 1980 a causa del terremoto, il progetto iniziale è stato soppiantato dalla costruzione selvaggia e abusiva di circa dodicimila appartamenti, nell’assoluto silenzio delle autorità locali.

Ciò che rimane oggi, dopo che molti residenti sono stati costretti ad andare via, è una città fantasma. Perfetta rappresentazione di un luogo di «frontiera», spiega lo stesso Garrone. In grado di richiamare l’atmosfera «western», pur essendo abitata da gente per la quale hanno ancora un certo peso «l’idea di comunità e quel che gli altri pensano di te». Il Villaggio Coppola è la periferia che non rimanda a «un immaginario già visto, da impegno sociale», ma un luogo dove regna «una sospensione più metafisica».

Coordinate visive che Garrone restituisce nelle inquadrature del Villaggio, dove ciascun fotogramma sembra rispondere ai principi della fotografia Urbex: l’esplorazione urbana, attraverso l’obiettivo, delle strutture in stato di degrado realizzate dall’uomo. I fotogrammi di Garrone raccontano un luogo perduto, sospeso tra abbandono e nostalgia del passato, come quelli del fotografo austriaco Thomas Windisch; pieni del macabro decadimento immortalato con i suoi scatti dal belga Henk Van Rensbergen.

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Villaggio Coppola – Fonte: intellettualedissidente.it

La simbiosi tra pesce pagliaccio e anemone

In questo scenario pietrificato nel suo silenzioso disfacimento, dove le scene assumono un aspetto dilatato e vuoto, Marcello lavora nella sua piccola bottega di tolettarore per cani, sotto un porticato sudicio, le cui colonne scorticate mostrano l’armatura di tondini d’acciaio che un tempo erano annegate nel calcestruzzo.

Marcello ha gli occhi buoni, un sorriso largo, sincero e coinvolgente. Ben voluto da tutti, è costretto suo malgrado ad arrotondare le entrate smerciando cocaina, spinto dal sogno di regalare a sua figlia Alida un viaggio in mari tropicali. Lo spaccio è un mestiere che non gli appartiene e che svolge con l’innocenza di un bambino, in una comunità di uomini con il cuore indurito dalla frontiera urbana nella quale si combatte per la sopravvivenza.

Il compratore d’oro, il titolare della sala giochi e tutti gli altri, compresi Marcello, fanno gruppo riunendosi nella pausa pranzo e durante la partita settimanale a calcetto. Ma pur dimostrandosi ragionevoli sono chiusi ognuno nelle proprie egoistiche necessità.

La sequenza iniziale in cui Marcello è alle prese con la difficile tolettatura di un pitbull aggressivo e irascibile, sotto lo sguardo silenzioso e spaventato degli altri cani, riassume ciò che sta per accadere. Una storia di frontiera in cui vige la legge del più forte, mentre agli altri non resta che abbassare la testa o soccombere. Gli unici momenti in cui Marcello riesce a liberarsi dall’influsso negativo della periferia urbana sono le immersioni con sua figlia Alida. La bellezza e la vita del fondale marino cancellano per un attimo il paesaggio spettrale del Villaggio.

Tra i clienti cocainomani del tosacani c’è Simone, un ragazzone dal volto tumefatto per i troppi pugni incassati durante la sua carriera da pugile. Un tipo violento e rabbioso come il pitbull della scena iniziale, che vive di furti e rapine. Odiato dalla comunità del Villaggio, suscita in Marcello timore reverenziale e fascinazione. Simone possiede ciò che il tosacani non avrà mai: la sicurezza in se stessi che promana dalla forza bruta e diventa spavalderia.

Soggiogato da questo sentimento ambiguo, Marcello asseconda ogni sua richiesta, come farebbe un cane con il suo padrone. Gli fa anche da autista durante il furto nell’appartamento di una famiglia benestante. Ma quando scopre che il complice di Simone ha infilato il cane di casa nel frezeer, Marcello torna sul luogo del delitto per salvare la povera bestiola. Il tosacani incassa quel poco del bottino che gli rende Simone, con la stessa condiscendenza con la quale ne incassa i soprusi.

Tra i due esiste un rapporto di simbiosi. Marcello è come il pesce pagliaccio che trova rifugio tra i tentacoli dell’anemone, essendo immune alle sue punture velenose. In discoteca Simone lancia Marcello tra le braccia di una ballerina, alla quale il tosacani non riesce ad avvicinarsi per eccesso di timidezza. Sono le briciole lasciate dall’anemone, che aiutano il pesce pagliaccio a superare per qualche istante i propri limiti.

Ma il prezzo da pagare è ogni volta più alto. Marcello consegna le chiavi del suo locale al ragazzo, che ha in mente di svaligiare il negozio adiacente del compro oro, praticando un buco nel muro. Il rapporto di sudditanza raggiunge livelli patologici e diventa vero e proprio masochismo. Marcello ha incrinato per sempre la sua credibilità tra gli uomini del villaggio e in più decide di non denunciare Simone alla polizia, beccandosi un anno di carcere e rischiando di rovinare per sempre il rapporto con Alida.

Dogman
Dogman – Fonte: quarantanoveedizioni.it

La simbiosi fatale tra spazio e umano

Uscito di galera, Marcello comincia a perdere la sua immunità. Il veleno della frontiera urbana inoculatogli nelle vene attraverso la figura malvagia di Simone comincia a produrre i suoi effetti nefasti. Il tosacani chiede al ragazzo la sua parte del bottino. Simone si rifiuta. Al danno si aggiunge la beffa e Marcello comincia a non essere più lui. Irretito dalla necessità di denaro, dall’isolamento subito a causa del ragazzo e dal desiderio di cambiare vita, il tosacani escogita un piano per obbligare Simone a chiedergli scusa.

Inventandosi la possibilità di rapinare due spacciatori e fuggire con il bottino, attira il ragazzo nel suo locale e riesce a rinchiuderlo in una gabbia per cani. Mentre Simone, accecato dall’ira, reagisce in modo bestiale, Marcello lotta con se stesso. La sua incapacità di fare del male viene sopraffatta dal pericolo mortale innescato dall’ingenuità del suo piano. La legge della giungla di cemento ha la meglio. Per salvarsi, Marcello non può far altro che uccidere il ragazzo.

Sebbene l’esito sia lo stesso, esiste una differenza sostanziale tra la storia del film e l’episodio di cronaca a cui è ispirato. Marcello non è come il Canaro della Magliana, Pietro De Negri, che nel 1988 torturò e uccise il criminale e pugile dilettante Giancarlo Ricci. Marcello conserva la sua umanità in ogni circostanza e ciò nonostante viene trascinato nel baratro da forze incontrollabili, più forti del singolo individuo. Quelle forze negative che germinano nelle periferie disumane e che riescono a prendere il sopravvento negli attimi decisivi.

I fenomeni sociali, le interazioni tra gli individui, non possono fare a meno dei luoghi in cui avvengono. E questo vale per tutti. Anche per una animo nobile come Marcello, che sconvolto dall’uccisione del ragazzo, cerca di dare fuoco al corpo senza vita in maniera maldestra. In preda al delirio, crede di vedere i suoi ex amici sul campetto di calcetto e urlante, annuncia d’essersi liberato di Simone. Non ricevendo risposta, torna indietro, prende il corpo e lo porta di peso verso il campetto dove scopre d’aver avuto un’allucinazione. Trascinandosi sulle spalle un Simone ciondolante come una bambola di pezza, raggiunge l’aria attrezzata per bambini, un’oasi insensata nello slargo sabbioso del Villaggio, dove si siede a riflettere, distrutto dalla fatica, su ciò che gli è accaduto e sulla maledizione che colpisce le anime di quel luogo spettrale.

Testo di Michele Lamonaca

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