Lame, la Retromania e l’illusione di un vita migliore

Cosa ha visto Gabriele Pedullà, quel pomeriggio al Golden State Park di San Francisco, di così importante da indurlo ha scrivere Lame, il suo ultimo romanzo?

In apparenza, una «infaticabile compagnia» di pattinatori dilettanti, impegnati con i loro volteggi, l’abbigliamento e la musica a palla, nella realizzazione di una «spudorata elaborazione degli anni Ottanta, ironica e filologica al tempo stesso». Ma per l’autore c’è dell’altro.

Nella sua lettera all’editore, scrive d’aver avuto «l’impressione d’assistere a qualcosa di importante, senza riuscire a capirci qualcosa». Così, spinto dalla voglia di comprendere, si è messo a scrivere, scoprendo che lo «Spirito del nostro tempo», incarnato a San Francisco in quella «singola, concretissima figura», soffre di nostalgia del passato perché in essa trova una via di fuga dalla realtà. La realtà della crisi economica, del lavoro precario e della disumanizzazione dei rapporti interpersonali.

Quella moltitudine festante stava rendendo omaggio ad un’epoca passata, per alimentare il sogno di un vita più bella. Era afflitta dal male che sta colpendo l’Occidente, a cui il critico musicale britannico Simon Reynolds ha dato il nome di Retromania. Il tentativo di un’autorappresentazione felice, come avveniva più di cinquecento anni fa, con il poema cavalleresco. Genere letterario – come spiega Ugo Dotti nel suo libro La rivoluzione incompiuta – che attraverso “un mondo di fantasia”, “leggendario”, “astorico” e “atemporale”, serviva a dimenticare lo sfondo sociale pieno di violenza, corruzione e inefficienza delle istituzioni.

Lame
Lame – Fonte: ibs.it

Dal Poema Cavalleresco alla Retromania

Nel XXI secolo l’idealizzazione dell’amor cortese, del coraggio e dell’avventura hanno lasciato il posto alle canzoni Michael Jackson, ai lucidalabbra, ai leggins, alle minigonne in tessuto denim e al pattinaggio, così tanto diffuso tra chi negli anni Ottanta era adolescente.

Partendo da questo impianto filosofico-letterario, Pedullà inscrive nelle centocinquanta pagine del suo romanzo un’analisi profonda delle «nostre angosce», dei «nostri errori» e forse delle «nostre speranze». La conferma di queste premesse viene offerta dagli indizi, sempre più chiari, disseminati lungo la storia. A partire dai nomi dei due protagonisti, Olimpia e Ruggiero, evidente rimando ai personaggi dell’Orlando Furioso, altra scelta niente affatto casuale, poiché con la sua opera letteraria Ludovico Ariosto decise in realtà di rompere con la tradizione.

Il drammaturgo e poeta impegnato alla corte degli Estensi, pur “avvalendosi dell’illusione” e “del sovrumano cavalleresco”, fu il primo autore a indagare la “verità della condizione umana”, distruggendo “l’aurea leggendaria del poema epico” e dando così inizio al “complesso processo di trasformazione verso il romanzo moderno”.

Pedullà, mosso anch’egli dalla medesima necessità di indagare la realtà nascosta dietro l’ossessione per il passato che infetta il nostro tempo, racconta la sua «piccola epica degli innamorati».

Lame
Rollerblade

Nostra Signora della Rotella

Perfettamente in linea con i cavalieri e le donzelle dell’amor cortese, gli sposi Olimpia e Ruggiero, ormai prossimi ai quarant’anni e senza figli, vivono a Roma in una casa arredata con gusto, regalandosi mille attenzioni. Olimpia, di tre anni più giovane, ha un lavoro «finto-creativo» presso una casa editrice sempre meno attenta alla qualità. Ruggiero ha un impiego «finto remunerativo» in una casa di software prossima alla chiusura, che non paga gli stipendi da sei mesi. Ma durante il fine settimana, finalmente liberi dal giogo degli obblighi lavorativi, tornano ad essere una coppia perfetta, impiegando il tempo a disposizione visitando mostre e organizzando cene con gli amici.

In comune hanno l’amore per il pattinaggio, praticato da giovani con impegno e costanza, sebbene in circoli differenti. Una passione che adesso coltivano da semplici spettatori, sopraffatti come sono dagli affanni quotidiani, incapaci per altro di apprezzare gli adolescenti nei quali non riescono a rivedersi. Al di là delle differenze tecnologiche – i pattini tradizionali hanno ceduto il posto ai rollerblade con le rotelle allineate – i ragazzi di oggi vanno sui pattini con «una violenza e un impeto» incomprensibile per i due quasi quarantenni. Osservando le sfide di velocità dei più giovani, Olimpia e Ruggiero s’incupiscono difronte alle «pesantezza» che traspare dal loro atteggiamento.

Poi una domenica di febbraio, trovando chiusa la mostra a Villa Medici, odono in lontananza le note di un canzone che riconoscono al volo, senza ricordarne il titolo, ma che subito li riporta indietro alla loro giovinezza. Scoprono così l’esistenza di Nostra Signora della Rotella. Una compagnia di pattinatori dilettanti che ogni domenica mattina e ogni venerdì sera si riunisce al Pincio, nei pressi del Muro Torto, per volteggiare in tondo tra passi di danza, figure dell’angelo e dell’anfora, grazie alle abilità organizzative di Bess, un uomo di colore originario di San Francisco, che indossa occhiali scuri e soprabito marrone. E’ lui che ha creato il gruppo ed è lui che s’incarica di portare gli altoparlanti per la musica e i fari per l’appuntamento serale.

La compagnia comprende di solito una quarantina di persone. L’aria è festosa e ci sono anche i bambini. Il numero dei partecipanti varia a seconda delle giornate e conta anche un cospicuo numero di ammiratori, fermi a guardare le loro piroette. Il ritrovo è a tema: il revival degli anni 80, con musica e abbigliamento scelti ad hoc. I partecipanti, bravi e meno bravi, sono quasi tutti di mezza età e si dilettano senza foga agonistica a svolazzare sulle rotelle impersonando personaggi a piacere.

Per Olimpia e Ruggiero l’appuntamento domenicale al Pincio diventa il vero rimedio contro lo stress dei giorni feriali. Pur rimanendo semplici spettatori, si sentono a loro agio, cominciano a fare conoscenza e s’impratichiscono con i soprannomi dei pattinatori.

Tutti ne hanno uno perché le informazioni sulla vera identità dei presenti non sarebbe funzionale alla spensieratezza ricercata con così tanta abnegazione da quell’allegra brigata. Morgan ha il cappello a tricorno ed è fidanzato con Foxy, che ha la coda di volpe. La donna dai lunghi capelli bianchi, sulla cinquantina, è la Fata Turchina. Rino è il tipo dal naso gibboso, che pattina in maniera aggressiva, fingendo lo scontro per poi deviare all’ultimo secondo. Lollipop è poco più che minorenne ed è molto bella. Poi c’è Angie, che ha il sedere sodo come quello di Angelina Jolie.

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Retromania di Simon Reynolds – Fonte: minimumfax.com

Nostalgia del presente e del futuro


Farsi conquistare dalla Retromania anni Ottanta che viaggia sui pattini è un attimo per i due sposi. Olimpia e Ruggiero sono già prigionieri della nostalgia del presente, ossessionati come sono dal fotografare ogni istante della loro vita, che sia il manicaretto preparato a cena o l’ultima vacanza nel Mediterraneo, in modo da postare le immagini sui social e guardarle nella cornice digitale. Anche loro ossequiano l’undicesimo comandamento affermatosi con il digitale:«se non lo fotografi non è successo».

Accoccolati sul divano a guardare la sequenza di scatti, è più facile immaginare la «grande famiglia patriarcale che un giorno formeranno insieme». Tra una dissolvenza e l’altra è più semplice esorcizzare «la paura di invecchiare», cadendo così nella nostalgia del futuro.

Olimpia sfrutta la sua abilità di fotografa per alimentare le raccolte caricate sul sito e sul profilo facebook della compagnia. In fine, approfittando del loro anniversario, si armano di rollerblade e si lanciano finalmente nella mischia, felicemente accolti dagli altri pattinatori. Ha inizio il processo di regressione all’adolescenza. Piano piano recuperano la fisicità perduta e con essa la gioia soddisfatta per le gambe livide e i ginocchi sbucciati. Adesso le avvilenti giornate lavorative pesano di meno. Nostra Signora della Rotella è il loro Fight Club: “Nulla è risolto ma niente conta».

Lame
Tristano e Isotta

L’illusione di una vita migliore

Con la bella stagione partecipano agli appuntamenti del venerdì sera, dove c’è meno gente e più possibilità di osare con i pattini. Soprattutto Ruggiero, sempre più assuefatto a quella droga che gli alleggerisce l’animo e lo aiuta a non assecondare i discorsi sul senso della vita propinatigli dal fantasma dei suoi quarant’anni – altro elemento che rimanda al poema cavalleresco – apparsogli per la prima volta dopo aver spento le candeline sulla torta del suo trentanovesimo compleanno. Ma l’assiduità lo aiuta a scoprire che l’ambiente idilliaco del Pincio è come il resto del mondo: nasconde una «ragnatela di simpatie e di antipatie”. Viene introdotto da Rino alle «dinamiche sotterrane della compagnia”, al fatto che la comunità è un «gran figaio” con «prede e predatori”.

L’unico che sembra conservare una certa lucidità è il Professore, cinquantenne ben voluto da tutti ma troppo malinconico e avvezzo all’alcool per essere preso sul serio. Brillo più del solito, in uno dei suoi lunghi monologhi, paragona i pattinatori ai «cavalieri medievali» – indizio risolutivo inserito da Pedullà nell’intreccio, –  ma poi si corregge e si lancia in un’invettiva che squarcia il velo delle apparenze, rivelando il senso del romanzo. Pattinare al Pincio è uno «sforzo inutile e senza direzione», che «obbliga all’immobilità nonostante il movimento». Costretti a girare in tondo per questioni di spazio, quelli della compagnia sembrano anime dannate di un girone dantesco, condannate a «girare all’infinito» e a cadere «nell’illusorio dinamismo che non conduce da nessuna parte». Non hanno «un posto che intendono raggiungere davvero». Girano perché «non saprebbero cos’altro fare, per abitudine, o perché, girando per qualche ora, riescono a stordirsi col proprio moto». Verità facilmente estendibile al resto dell’umanità, ma che non interessa a nessuno, perché la gente del Pincio è lì apposta per immergersi in una cornice fiabesca. Per infilarsi in una bolla che li isoli dalla quotidianità.

I giorni passano e la pausa estiva è ormai prossima. In uno degli ultimi venerdì sera Ruggiero, senza Olimpia, viene sedotto da Angelica, altro nome preso in prestito dall’opera dell’Ariosto, e tradisce per la prima volta sua moglie. Il lunedì seguente, in macchina, mentre è diretto in ufficio, ascolta l’album di John Coltrane “A love supreme” che lo aiuta ad alleviare il dolore per quel lavoro ingrato e ormai a termine, e ragiona sulla possibilità di confessare il tradimento e poi su quella meno compromettente di abbandonare la compagnia. Ma non ha la forza e la voglia di perdere la dimensione del sogno ritrovata grazie al pattinaggio. E allora comincia a valutare la possibilità di frequentare altri luoghi romani dove i pattinatori si riuniscono abitualmente, perché l’inebriante sensazione di volare senza staccarsi da terra continui a produrre l’illusione di una vita migliore.

Testo di Michele Lamonaca

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