Microservi, i “tempi moderni” della Silicon Valley

Il Nuovo Mondo ha una vocazione speciale nel promettere una vita migliore, nel creare illusioni difficilmente smascherabili. In fatto di propaganda, i marpioni del neoliberismo yankee non hanno rivali. Ci mettono poco a far passare un mare infestato dagli squali in un placido specchio d’acqua dove le famiglie possono fare il bagno in tutta tranquillità.

Il trucco funziona in patria e funziona con noi che viviamo dall’altra parte dell’oceano sorbendoci i loro spot pubblicitari con ammirazione e deferenza da provinciali. E allora, sognando la California, Hollywood sta al cinema come la Silicon Valley sta alle nuove tecnologie informatiche.

Per fortuna nel Nuovo Mondo, terra della libertà, esistono voci controcorrenti che si levano per mostrarci il lato oscuro del sogno americano. Merito ascrivibile senza alcuna esitazione al romanzo Microservi dello scrittore canadese Douglas Coupland.

Utilizzando l’espediente letterario del diario, attraverso le annotazioni di Dan Underwood, impiegato ventiseienne della Microsoft, Coupland ci regala un viaggio rivelatore, andata e ritorno, tra la classe lavoratrice che secondo la vulgata è determinata a regalarci un nuovo rinascimento, sfornando hardware e software.

Microservi
Copertina di Microservi

L’avidità delle felpe californiane

Dan è un giovane collaudatore di programmi, specializzato nel scovare gli errori nascosti tra le righe di codice. Durante il suo lavoro, nei minuti di pausa o di noia, controlla le quotazioni delle azioni Microsft per vedere se hanno guadagnato o perso. Nella metà degli anni ’90 ai suoi impiegati Bill Gates offre la possibilità di acquistare azioni del suo impero. E per Dan, come per gli altri, verificare la quotazioni diventa un tic. Succede anche nei giorni in cui la Borsa è chiusa. Un piccolo momento del romanzo, ma molto significativo perché fin dai primi capitoli, per voce del protagonista, Coupland mette subito in chiaro qual’è la legge che governa l’universo tanto agognato dagli informatici di tutto il mondo.

L’etica degli oligarchi tecnologici e delle giovani menti assoldate dalle loro compagnie non contempla l’obbligo morale di fare la cosa migliore per il bene della società. Padroni e lavoratori sono mossi dall’orgoglio intellettuale insito nella realizzazione di un buon prodotto. E soprattutto, dalla volontà di far soldi. La filosofia aziendale della Microsoft è “mettere un computer su ogni scrivania e in ogni casa” purché serva a guadagnare tanta grana. Il desiderio di migliorare la vita della casalinga, dello studente, del professionista o dell’anziano con le infinite potenzialità insite nel computer ha poco a che vedere con le vere dinamiche che muovono dirigenti e programmatori all’interno dei campus dall’aspetto idilliaco, dove i viali sono alberati e il verde è curato con perfezione geometrica.

L’avidità e la sete di guadagno sono il vero motore della Silicon Valley. Lo si capisce ancora meglio nel capitolo in cui Dan ha il suo primo incontro con il venture capital. Il mondo dei fondi nati per investire sulle ultime trovate informatiche e multimediali. Un esercito di uomini e donne a caccia di gente che con le sue invenzioni sappia stupire, o meglio ancora, conquistare una leadership mondiale nell’area produttiva di riferimento. Le felpe californiane vanno a braccetto con economia e finanza. Dietro il nuovo rinascimento affidato a macchine e applicazioni ancora una volta si nascon del a logica del profitto e della competizione feroce.

Microservi
Tempi Moderni – Charlie Chaplin

I “tempi moderni” dei Microservi

A queste condizioni il lavoro di ingegneri e programmatori assume le stesse caratteristiche disumanizzanti della fabbrica. Coupland descrivere la condizione alienante dei microservi con lo stesso realismo inaugurato nell’Ottocento da Dickens per gli operai impiegati nelle fabbriche della rivoluzione industriale. Realismo ripreso molto bene anche in Italia dalla Letteratura industriale di Paolo Volponi, Ottiero Ottieri e Goffredo Parise, che a loro volta raccontano la trasformazione del lavoro in fabbrica introdotta nel Novecento dal Fordismo. L’operaio vine confinato alla catena di montaggio dove le mini operazioni da ripetere senza tregua gli impediscono di ascoltare i propri pensieri, finendo per sentirsi egli stesso ingranaggio dei macchinari, sempre più simile a un robot. Basta guardareTempi moderni” di Charlie Chaplin, per averne un’idea precisa. Certo, rispetto all’Ottocento migliorano le condizioni igieniche e di sicurezza. Scompaiono le forme più evidenti di maltrattamenti, malattie e deformazioni professionali. Ma il lavoro in fabbrica rimane comunque un inferno che uccide l’anima e fa ammalare la mente.

Gli stessi sintomi patiti dal protagonista di Microservi e dai suoi colleghi, teoricamente privilegiati perché appartengono al settore economico della conoscenza. Invece anche i geek vivono in uno stato perenne di alienazione, incapaci di coltivare le proprie emozioni e quindi di interagire con gli altri. Coupland riconosce e categorizza i loro comportamenti che grazie al suo lavoro trovano cittadinanza nel reale aiutandoci a guardare con obbiettività un mondo di cui si dice un gran bene.

Bill Gates possiede il tempo e i pensieri dei miscroservi, come fa il padrone con gli operai delle fabbriche. I tempi di consegna impongono ritmi serrati. Il numero delle ore lavorate non rispetta alcun minino contrattuale. Si dorme in ufficio se serve a rispettare la data di consegna. Come gli operai anche Dan e i suoi colleghi non riescono più a scorgere alcuna bellezza nella vita, che appare deformata, così orrida e stupida da lasciare in bocca un gusto amaro.

La vita asessuata e apolitica dei geek

Tornati nelle loro “case di gruppo” i geek sono coscienti di non avere una vita propria. Vivono un’esistenza inibita, affamata d’amore e priva di emozioni. Provano lo stesso senso di vuoto che nell’Ottocento gli operai scacciavano con l’alcool. Da allora le cose sono in cambiate, ma solo in apparenza. A disposizione dei microservi, come già per gli operai del fordismo, il sistema mette a disposizione altri surrogati della felicità, altre valvole di sfogo. La televisione per guardare quiz e telefilm accasciati sul divano, narcotizzati e in preda alla disprassia; negozi e supermercati dove praticare consumismo compulsivo, dove acquistare oggetti inutili con cui riempire casa e cibo spazzatura da ingurgitare una volta tornati sul divano. Chi impiega il tempo libero praticando un’attività apparentemente sana, come andare in palestra, lo fa in modo ossessivo, alla ricerca di un benessere fittizio.

I geek non hanno alcuna ideologia a cui aggrapparsi. Sono i figli smemorati della classe operaia che dopo la Seconda Guerra Mondiale ha combattuto per i suoi diritti. Sono il risultato del disimpegno e dell’individualismo. L’unica idea politica che riescono ad abbracciare è quella della fiscalità in salsa repubblicana per ridurre la tassazione del reddito. Poi il nulla. Dan e il suo gruppo di amici-colleghi accoglie le metamorfosi di Todd, prima marxista e poi maoista, come una pazzia passeggera da assecondare con pazienza.

Ma la vita da geek presenta problemi anche nel campo della sessualità. Bug ammette di non aver mai preso coscienza della propria omosessualità per essersi dedicato completamente al lavoro. Micheal si è innamorato di una persona di cui non conosce il sesso e con la quale comunica solo per email. Ma anche gli altri non se la passano meglio, perché non riescono nemmeno ad immaginare cosa significa dare inizio spontaneamente a un rapporto. La vita regredisce alla relazione primaria tra geek e macchina. Soprattutto per i maschi, che non sanno come comportarsi con le donne in carne e ossa e si limitano a supporre che sia un problema di interfaccia utente, in attesa che qualcuno inventi una versione femminile più “user friendly”.

Microservi
Intelligenza artificiale

Verso la Transumanità

Tra le pagine migliori del romanzo di Coupland ci sono quelle dedicate ai ragionamenti e ai discorsi esoterici di Dan e compagni sul rapporto uomo-macchina. Con grande abilità, lo scrittore canadese affronta il tema del transumanesimo, affidando alla voce dei suoi personaggi considerazioni, allo stesso tempo affascinanti e spaventose, sulle promesse e sui potenziali pericoli dell’uso quotidinao e creativo delle nuove tecnologie.

Karla, la ragazza di Dan, racconta di quando da giovane attraversò una fase in cui desiderava essere una macchina, sensazione provata allorquando fu inserita in un macchinario per esami fisici, in preda alle suggestioni adolescenziali alimentate dalle musiche dei Kraftwork e di Gary Numan. Eccesso di immaginazione o semplice autosuggestione, l’esperienza di Karla nasconde un’altra verità: l’inevitabile influenza della tecnologia sulle menti della prima generazione geek, nata e cresciuta in compagnia di computer e linguaggi di programmazione, diventati poi strumenti di lavoro. Non per niente Dan a sua volta si chiede se le macchine abbiano un subconscio; se non siano come bambini, dotati di cervello ma senza alcun mezzo per esprimere ciò che provano. Così, non potendo urlare, si sfasciano. E allora scrive tutte le parole che gli vengono in mente in un file che salva sul suo computer nella speranza di dargli un subconscio.

Perciò è inutile meravigliarsi se i geek, abituati ad assemblare flussi di codice macchina e a realizzare programmi di ogni tipo, aprano discussioni su che genere di software progetterebbero i cani, immaginando simulatori di pipì, interfacce lappabili e programmi per delimitare il territorio. I geek pensano per conto dei computer e quindi finiscono per pensare come i computer. Per loro, le macchine e quello che ci mettiamo dentro sono la cartina tornasole dei nostri processi evolutivi e con le loro qualità rappresentano il subconscio dell’uomo. Cercare una nuova strabiliante applicazione è come andare alla ricerca dell’identità umana. Per Dan e gli altri il progresso è quindi la realizzazione di un coscienza tecnologica più complessa di quella del cervello umano. Vivono nella convinzione che un giorno l’uomo arriverà a costruire un’entità dotata di intelligenza propria. E’ solo questione di tempo prima che un geek come loro riesca a creare dei programmi capaci di imitare gli organismi e alimentarsi tra di loro.

L’algoritmo iniziale sarà partorito dal cervello umano, ma poi le macchine prenderanno l’iniziativa e stabiliranno i nostri compiti. Nell’attesa che ciò accada, Dan e compagni osservano, calcolano e spiegano gli aspetti della loro esistenza ricorrendo alle unità di misura e alle entità informatiche. Il risultato è una condizione umana alterata da cui cui viene estromesso il calore delle emozioni e dei sentimenti. Come riconosce lo stesso Michael, – il programmatore più indomito, geniale e per questo più solitario del gruppo – che a un certo punto si chiede se in tutti questi anni non abbia modellato, seppur inconsciamente, la sua personalità sull’immagine delle macchine, finendo anche lui per non preoccuparsi degli organismi umani, per non emozionarsi e non percepire più le cose. Descrizione agghiacciante ma calzante di cosa vuol dire essere un microservo.

Microservi
Douglas Coupland

Il risveglio: fare comunità e diventare Cyber-signori

Dan e i suoi amici sono troppo intelligenti per non riconoscere l’abbrutimento di cui sono vittime. Sarà proprio Micheal a offrigli una scappatoia con una proposta di lavoro che promette di riunirli sotto il progetto ambizioso di realizzare un nuovo programma. Desiderosi di riappropriarsi della loro vita, lasciano la Miscrsofot per dedicarsi anima e corpo alla realizzazione di Oop!, un gioco che mette a disposizione dell’utente dei mattoncini lego in 3D con i quali costruire ogni universo possibile.

Nell’intuizione di Michael, con la quale Douglas Coupland sembra aver preannunciato l’arrivo di Minecraft, Dan e compari scorgono la possibilità di realizzarsi. Abbandonare la condizione di microservi per diventare finalmente Cyber-signori. Essere un Uno-Punto-Zero. Essere i primi a realizzare la prima versione di qualcosa. Ma l’ambizione personale ed economica, nel diario di Dan, cadranno in second’ordine difronte alla bellezza di stare assieme, di condividere gioie e dolori. Riscopriranno il senso profondo della parola “comunità”, annebbiato dalla vita asettica del campus Microsoft.

L’ictus della madre di Dan saprà aiutarli ancora di più. Nella disgrazia, riunendosi attorno al capezzale della donna immobilizzata per mettere al suo servizio i loro talenti, ritroveranno un altro pezzo della loro umanità perduta, quello più tenero e fragile. E aiutando la donna a comunicare con la tastiera e lo schermo di un computer, scopriranno che la tecnologia, se usata bene, più soccorrere un corpo danneggiato, può sostenere la vita biologica, quella vera che sa soffrire e gioire, senza alterarla o rimpiazzarla.

Scritto da Michele Lamonaca

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