Futuro, Douglas Coupland:”meno lavoro, più tempo libero”. Ma siamo sicuri?

Leggere le parole di uno scrittore come Douglas Coupland aiuta a capire dove stiamo andando e verso cosa ci stiamo muovendo. L’autore di Generazione X ha una sensibilità unica nel cogliere lo spirito del tempo ed estrema facilità nel captare nel presente i segnali del futuro. Perciò, quando mi sono imbattuto nella sua ultima intervista rilasciata all’incirca un anno fa al Guardian, ho letto con interesse le sue idee sui prossimi cambiamenti che le nuove tecnologie imporranno al nostro modo di lavorare e quindi alla nostra quotidianità. Con lo stesso interesse ho notato che le sue idee non contemplano in alcun modo gli attacchi efferati che il mondo del lavoro stava subendo nel presente, grazie anche all’impiego di Internet e della tecnologia natagli attorno.

Douglas Coupland

Le doti di Douglas Coupland

Coupland, fin dai tempi del suo straordinario esordio letterario, ha saputo analizzare con lungimirante lucidità il mondo del lavoro moderno. Nel 1991 raccontò la Generazione X, quella nata tra il 1960 e il 1980. Trentenni che si accontentavano di un “Mcjob” pur essendo più intelligenti, colti e creativi dei loro datori di lavoro. É la prima generazione che ripiega su se stessa, rintanandosi nel privato, presa in ostaggio dalla società consumistica. Sono i primi a vivere un eterno presente, fuori dalla Storia, che è morta nel Novecento, come spiegherà il politologo Francis Fukuyama nel suo celebre saggio del 1992. Un anno dopo Coupland.

Per avere conferma delle capacità divinatorie dello scrittore canadese, basta riprendere in mano Generazione X e leggere la definizione di Mcjob:”impiego a paga irrisoria, basso prestigio, bassa dignità, bassa realizzazione e senza futuro, in genere nel settore dei servizi“. Senza saperlo, in quel lontano 1991 Coupland ha elaborato la definizione esatta di gig economy, l’economia dei “lavoretti”. La nuova forma di sfruttamento del lavoro che ha messo a valore la disperazione di milioni di disoccupati gettati per strada dalla crisi del 2008. Gente così disperata da accettare lavori in tutto per tutto subordinati, eccetto che per la forma contrattuale, la paga e le tutele. Un colpo di spugna sui diritti conquistati faticosamente in decenni di lotte.

Douglas Copland
Operai a lavoro – Fonte: http://imparareconlastoria.blogspot.it

Il futuro del lavoro secondo Douglas Copland

Sapremo fare molte più cose, lavoreremo di meno e da qualunque posto grazie a Internet e ai dispositivi digitali. Addio al vecchio ufficio. Lavoreremo in un parco, al mare, in biblioteca o dentro un bar. L’unico nostro problema sarà quello di imparare a gestire il tempo libero. Nella stessa giornata avremo più ore da dedicargli e si alterneranno con quelle del lavoro. Il futuro immaginato da Coupland è più o meno questo.

Interessante quanto dice che la connettività e l’uso degli smartphone stanno determinando i cambiamenti neurologici più profondi nella storia umana perché ci inducono a pensare diversamente da come facevamo qualche decennio fa. Ma se sia un bene o un male Coupland non lo dice. Così come non esprime giudizi quando ricorda che il flusso di notizie e dati che ci bombarda quotidianamente ci ha portati a percepire il tempo in modo diverso. Il futuro adesso viene vissuto nello stesso momento del presente. Altro importantissimo cambiamento neurologico. A suo avviso inoltre la crescita dell’automazione e dell’IA darà forma a una nuova società. Le classi medie moriranno per lasciare il posto ad una nuova enorme “global mobile class“, alimentata dalla banda larga.

Questo è lo scenario dipinto da Douglas Coupland. Ma a me i conti non tornano. Mi sembra una narrazione da film hollywoodiano con l’inevitabile lieto fine. Coupland non si sbilancia mai in un giudizio di merito. Anche quando ricorda che le persone impegnate a lavorare nel campo della tecnologia se ne infischiano di pensare agli effetti di ciò che stanno facendo. E che in una società dove in apparenza tutti sanno fare tutto, il possesso di competenze effettive – comprese quelle che non hanno nulla a che fare con Internet – sarà di vitale importanza e continuerà a fare la differenza nella nuova enorme classe globale.

In fine, dopo aver rimarcato che Internet è qui per rimanere e che continuerà a cambiare profondamente la società e il mondo del lavoro, tace sui cambiamenti già avvenuti.

Douglas Copland
gig economy

Il cattivo presente non genera un buon futuro

Oggi le parole più usate nel mondo del lavoro sono disoccupazione e precariato. Rileggendo l’intervista di Coupland continuo a sentirla slegata dal presente; dalla realtà del presente.
E mi sorprende l’assenza di qualunque riferimento al Leviatano, a quella disumanizzazione ancora in atto dovuta al sistema capitalistico che lui stesso ha raccontato nei sui romanzi.

Douglas Coupland sembra ignorare la lotta di classe tutt’ora in corso. La guerra invisibile che i ricconi stanno vincendo ai punti in maniera netta.  La crisi finanziaria del 2008 ha dato una bella botta al mondo del lavoro. Gli autori del misfatto, membri della classe dominante, ne sono usciti più ricchi di prima riuscendo a far pagare i danni all’economia reale e quindi al resto della popolazione, contando naturalmente sull’incapacità e sulla collusione dei governi. Le strade si sono riempite di milioni di disoccupati. E subito il Leviatano si è attivato per mettere a valore tutta questa umanità impaurita e vulnerabile con l’ultima sua trovata: la gig economy.

Ai capitalisti tecnologici è bastata l’dea di una piattaforma digitale per millantare il ruolo di intermediari tra domanda e offerta di lavoro, realizzando un nuovo sistema di sfruttamento dei dipendenti a prova di vertenza. La gig economy sta realizzando i sogni del capitalista perfetto: abbattere il costo dei dipendenti fin quasi allo zero; avere forza lavoro senza lavoratori; fa ricadere su di loro e sulla comunità i costi d’impresa.

I racconti dell’orrore di chi lavora con Uber o con i vari food delivery testimoniano l’ingiustizia della loro condizione. E  una cosa è certa: di tempo libero ne hanno davvero poco. Paradossalmente le loro storie sarebbero perfette per un romanzo di Douglas Coupland, ma sono lontane anni luce dal suo futuro favolistico. E sono molto lontane da un’economia più umana e da una prosperità più inclusiva. Dall’impiego delle tecnologie nel ridurre radicalmente le dimensioni medie delle imprese, creando la possibilità di un lavoro più creativo e collaborativo. A me sembra che le cose stiano andando nel senso contrario. Penso che da un cattivo presente non possa nascere un buon futuro. E che in quell’articolo, le parole di Coupland soffrano di un sostanzioso disimpegno politico e civile.

Michele Lamonaca 

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